Ristorante Opera a Torino, il regno dello chef Stefano Sforza e della sua brigata.
Rispetto per l’ambiente, sostenibilità, attenzione al vegetale, studio estremo.
Ci siamo avvicinati alla cucina di Opera con grande curiosità e rispetto.
Curiosità per l’ “ingegno e creatività” che accompagna il nome del locale, già di per sé uno spettacolo: Opera, come opera d’arte, come rappresentazione teatrale, come genio e creazione appunto….
Rispetto per le scelte etiche dello chef Stefano Sforza e di tutta la sua brigata, proprietà compresa.
Il ristorante Opera ha colto la sfida lanciata dalla campagna #iocambiomenu lanciata dal Wwf per una cucina più sostenibile, inserendo precise regole di attenzione agli ingredienti. Innanzitutto l’eliminazione di specie ittiche non sostenibili, quelle per intenderci che sono in via di estinzione, che se finiscono nel piatto rischiano di non riprodursi in maniera sufficiente e così dalla carta (e dalla cucina) sono stati banditi piatti con l’anguilla e con la rana pescatrice. Si tratta di specie che insieme a verdesca, pesce spada e cernia bruna sono appunto nella lista rosso emergenza delle specie in via di estinzione. Ha poi eliminato l’ingrediente forse più in voga nei ristoranti di alto livello e gourmet e anche più richiesto tra la sua clientela: il foie gras, che come è noto si ottiene con un metodo cruento di alimentazione di anatre e oche.
Risposta totale alla richiesta del Wwf, insomma!
Di certo un grande sforzo di immagine, quanti vanno al ristorante e vogliono, pretendono il foie gras? Per molti è un must, una delizia, un “mai più senza”….e invece lo chef Sforza ha invertito la rotta.
Chapeu!
Intanto l’ambiente ringrazia, e anche noi con lui, perché poi quando ci si siede alla tavola di Opera e lo spettacolo inizia, ci si ritrova in una dimensione speciale, di piena armonia con l’ambiente e con i piatti, sinceramente coinvolti dai racconti dei vini e moralmente appagati dalla scelta etica dello chef e di conseguenza della nostra! Del resto come ci spiega lo chef quando ci accoglie, ogni privazione porta ricerca e questa eliminazione dalla carta di elementi che apparivano fondamentali ha stimolato inventiva e (vedi che ritornano sempre) ingegno e creatività per sostituirli, o meglio per non farne sentire la necessità, tanto si è appagati dalla proposta a tavola, vegetale inclusa. Sì, perché una delle voci importante del menu è proprio quella vegetariana, un menu interamente dedicato ad un elemento dell’orto, anche se l’attenzione per la parte non proteica della carta è evidente anche nel resto delle proposte. Tante verdure, sempre e ovunque, quelle che lo chef acquista giornalmente al mercato di Porta Palazzo, il mercato coperto più grande d’Europa, dove lui stesso ammette “nascono la maggior parte delle idee!”. Tante verdure, sempre e ovunque, anche quelle che si coltiva da solo, nel neonato orto della proprietà del ristorante, pensando al metodo e al rigore di Enrico Crippa e cercando di portarselo a casa….
“è bello quando ti arriva il pomodoro dall’orto, perché è una storia in più da raccontare al cliente!”.
Adora lavorare con le verdure, ce lo ripete durante la nostra chiacchierata, quasi come un mantra. Lo trova appagante, stimolante, soprattutto nello studio e nella ricerca delle consistenze che si possono ottenere. Siamo incuriositi dal menu vegetale, che nel periodo della nostra visita ha come protagonista il carciofo, mentre tempo prima c’era stata l’intera proposta al pomodoro (Chef, ce la rifai?!) e poi quella al cavolfiore (“forse un po’ azzardato”). Il prossimo sarà l’asparago, ma non si sa quando potremo degustarlo visto il periodo. Però ci saremo, in prima fila, anche perché l’anticipazione ci ha stregati:
“Sono partito dal dessert, che sarà molto scenografico, rappresenterà una raccolta di un asparago all’interno di un contenitore con della terra, che non sarà terra ma cioccolato…”.
Basta non ci svela altro, ma è sufficiente per farci desiderare di tornare. Intanto se volete avere una ricetta fresca e primaverile dello chef eccola qui, con asparagi, uova e pompelmo rosa. Il mono ingrediente è stimolante, è la giusta alternativa alla “banalità” del menu vegetariano classico, perché giocare con un singolo ingrediente declinandolo in 5 portate è grandioso e lo è anche per il sommelier che deve studiare un percorso di abbinamento all’altezza. Stimolante anche per chi siede alla tavola, perché attraversare un carciofo e immaginarselo proposto nelle cinque essenze di un menu è curioso. Stimolante è anche il resto della carta, e allora raggiungiamo il classico compromesso della degustazione a mano libera!
Chef crea per noi!
E Carlo Salino, il sommelier, ci accompagna sapientemente (che poi a fine pranzo si trasforma in divinamente!) con una serie di calici alla scoperta di etichette internazionali tutte con una storia che lui sa raccontare in modo coinvolgente e appassionato. E Gualtiero Perlo ci racconta ogni piatto… Lo spettacolo inizia con un’entrée di benvenuto a cui “lo chef non può più rinunciare” ci svela Gualtiero, sicuramente consapevole che non ne potremo più fare a meno nemmeno noi (!) e che quindi inseriamo nei signature dish di questo luogo:
- un uovo cotto al barbecue, un tuorlo montato e una spuma di broccolo in purezza; una royale di zucca con grani di senape antica;
- una pasta brisèe al parmigiano con crema al parmigiano, barbabietola in carpione e caviale di aceto balsamico;
- chips di pane croccante con humus di ceci e maionese di soia;
- oliva ricreata con rivestimento esterno di cioccolato bianco e all’interno una tapenade di olive taggiasche.
Il tutto accompagnato da un Alta Langa Marcalberto 2016, una delle 50 mila bottiglie prodotte.
Ed ora, come un’Opera teatrale, si apre il sipario davvero.
Un sandwich di trota affumicata ben affiancata da un cocktail con un profumo aromatico affumicato, quasi tabacco, pulito morbido e dissetante. Sorge il dubbio, se sia più buono il piatto o il calice, poi ci si rende conto che non potrebbero stare separati, sono l’uno l’esaltazione dell’altro. Matrimonio perfetto! Per il Carciofino in carpione di sambuco, una corona poggiata su un letto di terra di olive, Carlo si fa aiutare da una donna del Vino italiano, Alessandra Divella, due ettari di proprietà in quel di Gussago, un po’ controcorrente rispetto alla classica Franciacorta con la sua vinificazione in cemento. In questo caso abbiamo un dosaggio Zero, Ninì, metà Pinot Nero e metà Chardonnay, con un riposo importante sui lieviti di 48 mesi che va in discordanza con la componente acetica del carpione. Un carpione di sambuco, che gioca con il contrasto di dolcezza e acidità tra la crema dell’uva sultanina e la panna cotta di Umeboshi alla base. Esperimento completamente riuscito. Benvenuti! Una delle tipologie più estreme inserite in degustazione arriva dall’Australia, Momento Mori che fa un vino rosso ma da bere come fosse un bianco dalle basse gradazioni, utilizza Syrah e Pinot nero e poi inserisce nel vino in fermentazione 13 grappoli bianchi di 13 varietà differenti che coltiva. Morale della favola: 10, 5 gradi, molto bevibile, completamente naturale leggermente rifermentato in bottiglia, che va a valorizzare un piatto che non ha bisogno di troppa struttura. Una tartare di rapa rossa cotta in forno e condita con succo di limone, olio di oliva sale e peperoncino; insieme ad un centrifugato di rapa rossa realizzato con le parti non utilizzate in preparazione, tutto accompagnato da un gelato al burro di arachidi con una farfalla in cialda di arachidi essiccate. Azienda agricola Presidium in provincia di L’Acquila per un Montepulciano abruzzese, riserva 2012, un naso maturo ben speziato, con una bellissima scivolosità in bocca, una freschezza e tannino super integrato che aiuta il gioco che lo chef fa con la tapioca e i funghi nella proposta della Guancia di maialino cotta nella pignatta di terracotta e glassata con jus di funghi.
Esiste anche il pane, non ce ne siamo dimenticati!
Arriva in pompa magna, una preparazione fatta in casa con tre diverse farine, tutte biologiche e macinate a pietra, provenienza Fossano, Molino Fruttero. Una lunga lievitazione di circa 20 ore con lievito madre al cento per cento, il tutto accompagnato da un burro aromatizzato al limone e completato con un pizzico di sale nero in superficie. Abbiamo già detto Applausi?! Il piatto anni ’80 rivisitato dallo chef è qualcosa di spettacolare: uno “spaghettone “panna” vodka e salmone” in versione satira. La panna-non panna è in realtà un olio emulsionato con la proteina della seppia; il salmone è sotto forma di uova di salmone che regalano sapidità al piatto, che termina con dell’’aneto e con una spruzzata di vodka a tavola. Risultato: un piatto definito ed elegante, che ricorda gli anni ’80 solo in alcune note cromatiche. E come alla fine delle scene di un’Opera, applausi, sì ancora! Il “Carciofo alla brace” ci riporta con un salto nel menu tematico. Un carciofo romanesco, o mammola romana, dolce senza spine, cotto in griglia con un passaggio sulla brace che regala una deliziosa nota affumicata, arricchito da una superficie di pane, dragoncello e fonduta di blu di Lanzo, e completato con una salsa olandese. Prima del “Merluzzo glassato al miele con spinacino e passion fruit”, un merluzzo tipico dell’Alaska servito con fumetto di pesce, maracuja e zenzero, arriva una sorpresa in un servizio da te antico, vecchie porcellane di pregio della collezione della nonna del patron di Opera. Si tratta di un brodo di olive, preparato con tutte le parti non utilizzate dall’oliva dell’entrèe di benvenuto, quindi pieno rispetto della cucina circolare… raccontato così può sembrare azzardato, il gusto e la sensazione sono invece qualcosa di unico, si beve prima il brodo e poi ci si lascia scivolare in bocca la sfera, godendo dell’esplosione di sapore. E nel frattempo proseguono anche i calici, tra un Jurançon Sec di Lapeyre, vero esempio di tradizione e autenticità nei confronti delle terre vissute e lavorate quotidianamente, e un Pinot Nero 100% Ladoix -Domaine Cruchandeau, macerazione a freddo e affinamento in barrique borgognotte di rovere francese.
- una spuma di carciofo insieme al sorbetto alla menta con alla base la parte croccante di mandorle sabbiate
- una spuma di cocco con sorbetto al mango coperta da una classica meringa, aromatizzata al lime e affumicata con legno di ciliegio.
Stefano Sforza lo scorso anno è stato nominato Chef Emergente, dopo un ricco passato di esperienze importanti. Classe 1986, arriva dalla scuola alberghiera dove l’incontro con Piero Bussetti l’ha introdotto alla grande cucina. Un passaggio da Ducasse lo ha illuminato sulla sua vera strada, capendo il rigore e l precisione necessari in questo lavoro. Altro significative esperienze che lo hanno formato anche dal punto di vista dell’organizzazione sono state il Bellevue di Cogne, il Del Cambio di Torino, il Trussardi alla Scala di Milano con Luigi Taglienti (“persona molto dura all’inizio ma che se capisce che gli stai dietro ti valorizza, così succede nelle brigate grandi”), fino al Turin Palace. Da qui poi ha sposato il progetto della famiglia Cometto, approdando appunto a Opera in qualità di Executive Chef, con l’idea di coniugare rigore tecnico, creatività e attenzione alla sostenibilità.
“Mi sono innamorato del posto appena sono entrato col fascino dei mattoni antichi. Era il refettorio e la foresteria del convento che abbiamo di fianco”.
E da qui parte un grande rigore, rispetto e attenzione per le persone, la salute, i prodotti. E poi ancora l’uso sempre meno evidente di zuccheri nei dolci va a toccare l’aspetto salutistico della cucina; e poi l’uso di detersivi che non danneggiano l’ambiente per lavare le stoviglie va a chiudere il cerchio dell’aspetto sostenibile.
Tanta attenzione al buono, al bello e al salutare. Tanta attenzione al presente e anche al futuro, aspetto fondamentale.
Tanta attenzione alle persone, anche quelle della brigata, con cui esiste un affiatamento evidente, lo si legge, lo si respira. E questo li rende davvero forti, e bravi. Tutti insieme.
“Negli ultimi anni la cucina è stata bombardata ma credo che il trend di bombardamento nei prossimi anni calerà, adesso vincerà chi è più bravo e più forte, chi si è improvvisato non avrà molta strada”.
E alla domanda finale un po’ visionaria ma molto concreta del “Dove ti vedi tra 10 anni” lo chef non ha dubbi:
“Da Opera, lo spero”
e sorridendo sornione aggiunge
“da Opera, magari con un paio di “cose” segnate sulla giacca!”.
E noi glielo auguriamo, con tutto il cuore. Perché è evidente che questo è il suo posto, il suo sogno.
“Al di là delle stelle, è proprio il posto che mi vedo cucito addosso!”.
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