Il San Domenico di Imola festeggia 52 anni con un rinnovo totale delle cucine.
Lo chef Max Mascia, alla guida del San Domenico dal 2010, inaugura la seconda parte di secolo del mitico ristorante.
La cucina del San Domenico è stata inaugurata il weekend del Gran Premio di Imola del 1992, e da allora è rimasta fedele al suo stile e al suo tempo, custode della Grande cucina Italiana, con arte contemporanea mixata a cuoio scuro, argenti e cristalli.
Sono proprio le cucine il cuore pulsante dell’intero San Domenico, fino ad ora deliziosamente tradizionali decorate di piastrelle dai colori caldi, con stampi e pentole in rame appese alle pareti, gli strumenti, fotografie ed attrezzi storici che trasudano storia, tradizione, artigianalità.
Ed ora dopo 30 anni di storia e di vita vissuta, il cambio, il rinnovo, nei materiali, nella tecnologia, nei colori, nella fruizione: il 24 Aprile 2022, esattamente 30 anni dopo la loro inaugurazione, durante un weekend di Formula1 come allora, le cucine del Sando portano a termine il loro ultimo servizio.
Un progetto voluto, ideato e disegnato interamente dallo chef Max Mascia. Un progetto completo, maturato in oltre 2 anni di lavoro assieme ad architetti e tecnici, che riflette e traduce la sua visione imprenditoriale.
Lo chef ha studiato il progetto perché possa entrare nelle campagne degli incentivi statali, perché le cucine diventino sostenibili con introduzione dell’induzione e il controllo globale dei flussi energetici, delle eccedenze.
E ha progettato tutto con il senso di riconoscenza verso la Casa che lo ha accolto, cresciuto e formato, permettendogli di esprimere se stesso attraverso una cucina semplice, attenta, precisa, vera:
“Oggi che il San Domenico compie 52 anni, il progetto della nuova cucina è un sogno che si realizza, sintetizza la volontà di migliorarsi ogni giorno, di non accontentarsi, di non dare niente per scontato perché nella vita, non solo nel lavoro, le cose scontate non esistono.
Esistono l’impegno e la passione che tutte le ragazze e tutti i ragazzi ogni giorno mettono a disposizione dell’ospite che è e rimane il fulcro del nostro lavoro. Questo progetto è una dichiarazione d’Amore per il San Domenico, per la sua storia che ammiro e rispetto e per il futuro che voglio scrivere.”
Il progetto coinvolge tutto il territorio attraverso aziende e maestranze italiane e locali, tra cui De Manincor di Trento che ha affiancato Max nello studio e la progettazione, le ceramiche di Imola e molti altri artigiani.
E per la prima volta al San Domenico, una chef table per fare entrare i commensali in cucina. Una sala privata proprio di fronte alla brigata al lavoro, un’ambiente contemporaneo dove pasteggiare vicino allo chef, dove pranzare o cenare in estrema privacy, osservando in diretta lo spettacolo della grande cucina. Vivendo anche in pieno il clima che esiste in una cucina dove uno chef due stelle Michelin non si fa chiamare “chef” ma Max.
“Perché farmi chiamare chef? Lo stagista lo chiamiamo per nome, non ‘stagista’. Beh, è la stessa cosa.”
Lui del resto di strada ne ha fatta molta e forse di “Chef” ne ha chiamati tanti (e non per nome!).
Classe 1983, MassimilianoMascia, è un uomo attento, generoso e affabile. Tanto osservatore quanto agile, empatico e caparbio.
E la sa tenacia è stata la carta vincente per portare il San Domenico a ciò che rappresenta oggi.
Lui è cresciuto in queste cucine fin da adolescente: è un luogo che sa di casa, dove le sue giornate sono accompagnate dal profumo del pane fresco pronto per essere sfornato e dove assapora per la prima volta i grandi piatti dello zio Valentino Marcattilii, che aiuta quotidianamente in cucina.
Innamoratosi del mondo della ristorazione, Max è pronto per passare sette anni in viaggio, lavorando in alcune delle più grandi cucine del mondo come Ducasse a Parigi e al Plaza Athénée in Costa Azzurra.
Periodo dedicato alla conoscenza, alla sperimentazione alla crescita, tanto che nel 2010 gli zii Natale e Valentino gli regalano la piena fiducia consegnandogli, a soli 27 anni, l’intera gestione del ristorante.
L’idea di Max è chiara fin da subito: il ristorante emblema dell’età d’oro dell’Italia, il luogo stellato ritrovo di grandi scrittori e attori, star americane, piloti di Formula Uno e grandi industriali, deve conservare i suoi valori e rimanere sé stesso, elegante, unico e caloroso. Del resto la storia del San Domenico è strettamente intrecciata dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.
Così Max porta avanti la grande storia del San Domenico alla quale aggiunge la sua magia, la sua generosità e il suo particolare senso della cura per il tempo, per le stagioni e per tutte le persone che partecipano quotidianamente alla vita del ristorante.
Negli anni ’80 poi arriva la seconda casa del San Domenico a New York: un ristorante da cento coperti dalla pura identità italiana, primo del nostro paese a ricevere tre stelle del New York Times, che poi chiude nel 2007.
Uno dei punti di forza del San Domenico è la cantina storica, 500 anni di storia e 15mila bottiglie, sapientemente assortita e coordinata da Francesco Cioria, sommelier pluripremiato al fianco di Max da 10 anni.
La sala, della quale Giacomo, figlio di Natale, sta prendendo le redini è in perfetta sintonia con la cucina di Max: nella filosofia, nel pensiero rapido ed in un servizio giovane, elegante e sorridente senza essere mai ossequioso.
Tutto frutto delle grandi esperienze vissute tra i migliori ristoranti italiani ed esteri come il Marea, due stelle Michelin di New York, il Lasarte, tre stelle Michelin di Barcellona e l’Enoteca Pinchiorri, tristellato di Firenze.
Non appena si entra nel cuore del San Domenico, è chiaro che la brigata è una grande e affiatata famiglia che vive di un lavoro di squadra instancabile: ognuno di loro viaggia, studia, rischia e cresce, sempre assieme agli altri, in un circolo virtuoso che si riflette in ogni dettaglio del ristorante.
L’attenzione per i dettagli, il design curato e la ricerca artistica: al San Domenico si respira cultura e si vive bellezza.
Gli arredi sono di Thonet, Frau e Cassina, mentre alle pareti spiccano opere d’arte di alcuni dei più grandi artisti di arte contemporanea italiana da Alberto Burri a Mario Schifano, da Giuseppe Capogrossi a Piero Dorazio, con un occhio di riguardo per gli artisti imolesi come Mario Guido Dal Monte, Tonino Gottarelli, Andrea Raccagni e
Germano Sartelli.
Ma la storia del Sa domenico è cucina!
E può prescindere dalla storia dei suoi piatti iconici, diventati dei cult nel mondo dell’alta cucina.
Oggi il tocco ineguagliabile di Max Mascia si legge nella grande attenzione per la materia prima, per gli ingredienti stagionali e il territorio, in grado di dare nuova luce a ricette storiche e mai dimenticate.
Tra le ricette che hanno fatto la storia del San Domenico ecco l’”Uovo in raviolo” con parmigiano reggiano dolce, tartufo e burro nocciola, nato dalle mani di Bergese e Marcattilii e mai uscito dal menù del ristorante.
Un piatto che è perfetto connubio tra l’amore per la grande tradizione emiliana della pasta fresca e l’attenzione per
i prodotti della terra più semplici, ma che abilmente rielaborati danno vita a momenti di pura emozione gustativa.
Max ha saputo adattarlo ai palati e i gusti cambiati negli anni, evolvendo il piatto che oggi segue l’andamento delle stagioni e viene proposto con differenti varietà di tartufo a seconda del periodo dell’anno.
Il forte legame con il territorio ha contribuito a dare vita anche al menu che il San Domenico ha proposto in occasione dei suoi cinquant’anni, quando i clienti hanno potuto assaggiare tra gli amuse-bouche i tortellini fritti, biscotti di Parmigiano con mousse di mortadella, toast mignon, arrostino di coniglio al rosmarino con crema e insalatina di funghi dell’Appenino Tosco-Romagnolo.
L’amore per la pasta, in particolare per la forma del raviolo come fosse un vero e proprio scrigno, e quello per i sapori delle antiche ricette familiari custodite nel cuore di Max, ben si esprimono nel Raviolo di cotechino, brodo e verza e nel Raviolo di faraona e verza con salsa al Marsala.
Tra le grandi icone è da citare poi il Risotto mantecato con cipolla tostata, ristretto di sugo d’arrosto caramellato allo zucchero di canna, un piatto ideato da Valentino e che ogni anno allieta le tavole invernali.
Come anche il Pasticcio di fegato d’oca in terrina, con gelatina al Porto e brioche tostata, delicato ed elaborato, racconta la cucina che il giovane chef condivideva negli anni Settanta con Bergese e che viene ancora oggi servito all’interno delle raffinate collezioni di porcellana.
L’esaltazione dei sapori naturali delle materie prime è il fulcro della cucina del San Domenico in particolare durante il periodo estivo: selezionata l’eccellente qualità dei prodotti, Max ne esalta l’autenticità e il gusto con pochi ingredienti creando piatti sempre amati come il Crudo di scampi all’acqua di pomodoro e caviale o la Ricciola vaporizzata al gin tonic, ricette che intrigano e appassionano.
Nelle Ostriche al lime, brodo di prosciutto e parmigiano reggiano e negli Scampi e Caviale Siberian Royal
con emulsione di patate all’olio extra vergine di oliva, si assapora come la mano di Max sia in grado di spingere le materie prime a dare il meglio di sé, rielaborandole con un tocco colto e delicato.
Accanto ai piatti nati dalla creatività di Max oggi nel menù del San Domenico non mancano i ricorrenti omaggi allo chef dei re, come per la carta dei dessert in cui è sempre presente la Torta Fiorentina “Nino Bergese” in salsa profiterole e sorbetto di pera Williams, dolce a strati di cioccolato realizzato appositamente per il compleanno di
Umberto di Savoia nel 1926.
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