Ristorante Ingalera Bollate

In Galera mangiamo alla grande… “almeno noi ci proviamo”!

In Galera mangiamo alla grande… “almeno noi ci proviamo”!

L’occasione di una cena di pesce “dietro le sbarre” non poteva essere rifiutata, e così ho festeggiato il mio compleanno (i miei ‘nananni, come dice la cara Deborah Villa nei suoi spettacoli!) proprio In Galera!

Sarà che con le mie Storie di cibo dietro Le Sbarre ormai ho quasi una “fissazione” per il cibo nelle carceri;  sarà che conosco il ristorante In Galera di Bollate e ne ho apprezzato fin dall’inizio la qualità e il clima; sarà quel che sarà… alla fine l’invito a spegnere lì le candeline di quest’anno non si è fatto attendere!

E nemmeno farlo apposta una cena a tema marinaro, studiata quasi appositamente per me!

Un menù elaborato a partire dall’etimologia di Galera, che deriva da galea, tipica nave bizantina, con rematori che il più delle volte erano degli schiavi o dei condannati che scontavano la loro pena nelle infernali viscere della nave, vogando faticosamente ignudi e malnutriti: da qui viene il significato attuale di galera.

La descrizione non rende il sapore di mare che si propagava dai piatti, ma non potendo trasmettere on line profumi e sapori, mi limito a riportare il menù:

  • La schiscetta dei marinai (dall’antica tradizione marinara ligure) – una panella con pomodorini, capperi acciughe, condita con abbondante olio.
  • Lo spaghetto al profumo di mare con colatura di alici, presentato con pistacchi e pangrattato, e con alice fritta
  • La tagliata di spada con salmoriglio all’origano
  • U gelu meluni (il gelo di anguria) – una gelatina di anguria, fresca e dissetante, e anche simpatica, se la critica mi concede questo termine abbinato ad un piatto! Tanto simpatica che ho voluto farne un video per rendere meglio l’idea: https://www.youtube.com/watch?v=WAmqXwRVFLU

 

Può sembrare una “normale” cena in un “normale” ristorante di pesce, ma come preannunciato si tratta del ristorante In Galera, e il nome non lascia nulla all’immaginazione!

E approfitto di questa occasione per parlarne qui su Storie di Cibo.

Sono orgogliosa di averlo visto nascere, nel senso che dal di fuori ho assistito le varie fasi di questo enorme successo, fino a vivere anni fa l’inaugurazione e il taglio del nastro da parte del direttore Parisi e della “mente geniale” di quest’idea, Silvia Polleri.

Infatti questo ristorantino chiuso tra le mura del carcere di Bollate, di fianco proprio all’area dell’Expo 2015, arriva da un progetto di inclusione e di responsabilità sociale, che ha le sue radici nel 2004 e che si amplia quasi una decina di anni dopo quando l’istituto alberghiero della zona, il Paolo Frisi, si impegna con un intero ciclo di studi per diplomare i detenuti con cui già effettuava attività di formazione interna.

E così, grazie al comodato d’uso di alcune strutture nel carcere modello d’Italia, apre In Galera, il ristorante dove, a parte il maitre, tutti i professionisti impiegati stanno scontando una pena, ma avendo ottenuto un diploma alberghiero, lavorano nella ristorazione proprio in questo luogo.

Ha avuto talmente tanto successo che ne hanno parlato tutti i giornali, anche d’oltre oceano (lo scorso anno è apparso un articolo sul New York Times).

In Galera è possibile sia pranzare, con piatti unici del menù “quick lunch” con le caratteristiche tovagliette con le immagini di tutte le carceri del mondo,  sia cenare con un servizio da ristorante di classe, e un menù ben fornito, così come ben fornita e di livello è la carta dei vini.

Non è raro trovare tra i tavoli Silvia Polleri, ben lieta di scambiare due chiacchiere e spiegare la logica (e il cuore) del progetto.

Io stessa quando vado a mangiare e porto amici e conoscenti, mi assicuro che lei sia presente, perché il racconto fatto dalla sua bocca ha tutta un’altra presa e un altro fascino, anche se a me basta incrociare lo sguardo dei camerieri di cui conosco (o immagino?!) la storia, per rendermi conto della potenza di questo progetto!

Camerieri importantissimi, certo; e di pari o maggiore importanza lo chef: mi ha spiegato Silvia che da quando anche lo chef è “interno” la brigata ha assunto un valore ancora più grande:

“E’ importante che anche lo chef, Davide, faccia parte dei ragazzi, perché è un orgoglio pensare che questo progetto vada avanti con chef in house”.

Silvia parla sempre come se raccontasse per la prima volta di questo progetto, di questa sua idea diventata realtà: sempre lo stesso entusiasmo, la stessa umiltà e lo stesso amore unito sapientemente a un grande rispetto verso i “suoi” ragazzi.

E’ questa umiltà che traspare dai suoi occhi e dalle sue parole quando la incontri, è la stessa che si legge nelle parole di presentazione sul sito del ristorate:

 ‘Almeno noi ci proviamo’.

Ricordo ancora le prime parole che ho sentito pronunciare da lei in uno dei primi incontri:

sottolineava che non deve esserci buonismo, chi è in carcere ha trasgredito le regole e deve essere correttamente fermato.

Ma nessuno può avere il diritto di strappare la vita alle persone.

La dignità di ognuno di loro innanzitutto.

E così, puntando alla dignità, non è importante sapere che reato ha commesso chi ci porta il piatto di antipasto o chi ci serve il vino, perché per quello ci sono i magistrati, che hanno piena conoscenza dei reati commessi e delle pene da infliggere.

Come dice Silvia Polleri qui al ristorante i ragazzi iniziano “come nuovi”, senza il peso del giudizio, e hanno la possibilità di guardare avanti.

 

Ecco un altro bellissimo aiuto che arriva dal cibo, e Storie di cibo è felice di poterlo raccontare!

 

I dettagli sui menu e su come prenotare sono visibili sul sito www.ingalera.it.  Ovviamente un’esperienza dal vivo è quello che può dare la pienezza di questo progetto, io lo consiglio, lo continuo a frequentare e lo continuo a consigliare!