Caffè sospeso. Una curiosa definizione, nota per lo più ai napoletani, ma diffusa anche altrove.
È un’antica tradizione che consiste nel donare una tazzina di caffè a beneficio di uno sconosciuto, un bisognoso. Si lascia appunto un caffè pagato, sospeso.
Proprio a Napoli questa definizione è stata usata per dare vita, un paio di anni fa, ad un progetto di “reintegrazione sociale” per i minori dell’area penale.
“Un caffè sospeso… come le nostre vite”.
Cristian 21 anni, sorride, abbassa lo sguardo e serve il caffè, il suo primo caffè, al questore di Napoli, Guido Marino, cliente “zero” di questo insolito bar.
Siamo all’interno del Tribunale per i minorenni, ai Colli Aminei, dove la buvette è stata ristrutturata e attrezzata grazie ad alcuni sponsor, ed è stata presa in carico dall’Associazione Scugnizzi che segue il reinserimento lavorativo dei giovani a rischio dell’area penale campana.
“Caffè sospeso” prevede un tirocinio di tre mesi, con uno stipendio di 500 euro al mese. Una scuola di barman sul campo, un campo non neutro, ma questa è proprio la sfida: avvicinare i due mondi, farli “contaminare”, far sì che i ragazzi che arrivano dal mondo dell’illegalità imparino un lavoro nel tempio della legalità.
I ragazzi si troveranno a servire caffè e colazioni a magistrati, giudici, avvocati, a carabinieri e agenti penitenziari, tutte figure che li hanno visti sul tavolo degli imputati, gli stessi che li hanno dovuti punire per i reati commessi.
Un mondo per loro lontano, anche “nemico”, si trasforma in un posto di lavoro, una fonte di guadagno, una scuola di vita, un luogo familiare.
Sono qui al caffè con Antonio Franco, presidente dell’associazione Scugnizzi. Mi precisa che si tratta di un laboratorio “di una scuola di lavoro e di vita” e che
“l’obiettivo è insegnare a questi ragazzi un lavoro e inserirli poi nel mercato vero, loro che un lavoro non ce l’hanno mai avuo, e il “guadagno facile” era il loro unico obiettivo di vita”.
Al bancone si alterneranno ciclicamente due ragazzi (o ragazze) in semi libertà, in casa famiglia o con una condanna da estinguere. A guidare i futuri barman è il maestro Mario Alberino:
“Prima di insegnare loro come funziona una macchina del caffè gli insegno ad accogliere il cliente e a confrontarsi con le persone. È una scuola di vita quella dietro il bancone, che non può che fare bene a questi ragazzi”.
A bere il caffè in questo bar “sotto l’ufficio” è anche il presidente del Tribunale per i minorenni, Maurizio Barruffo:
“Questo bar sarà una palestra perfetta di integrazione. Con i ragazzi a rischio si possono fare attività e lavori, ma è tutto abbastanza inutile se non c’è una prospettiva concreta una volta estinta la pena. Qui si insegna a lavorare e diamo a questi ragazzi una chance per costruirsi un nuovo futuro. sarà di sicuro una scuola anche per noi!”.
Continua Antonio Franco:
“Dare uno stipendio anche se minimo a questi ragazzi significa dimostrare loro che esiste davvero un modo onesto di portare i soldi alle loro famiglie”.
Cristian e Daniele, i due barman arruolati per primi, questo concetto del lavoro lo hanno ben inteso, e mentre mi preparano il caffè me lo confidano:
“Abbiamo sbagliato e pagato. Ora cerchiamo una nuova vita e il lavoro è il primo passo”.
I due Scugnizzi avranno la sveglia ogni giorno alle 6,30 per essere alle otto puntuali dietro al bancone, in divisa. Avere delle regole, un orario, degli obblighi è di sicuro un nuovo stimolo, così come una giornata di lavoro di 8 ore.
“Questo non ci spaventa – dice Daniele – siamo pronti. E fare il caffè mi piace!”.
Storie di vite sospese “ma con la certezza di un giorno buono che verrà, senza più sogni inutili ma con una solida realtà”, come si legge nella targa appesa all’interno del bar, da oggi, prio giorno di apertura, e da domani, giornata vera dell’inaugurazione: 12 febbraio 2016.
E il Caffè sospeso farà anche parte delle mie “Storie di cibo dietro le Sbarre”, il libro che racconta tutte queste realtà, di “prossima” pubblicazione.
Posta una risposta