Ristorante Marconi, uno stellato di due fratelli appassionati.
“Una chef che arriva da un ristorante di famiglia, figlia di una sfoglina e di un cuoco, cresciuta in cucina, nel mondo enogastronomico degli anni ottanta. Lì è cresciuta e si è formata, in un mondo che ricorda “prettamente maschile”, aiutando un po’ in sala e un po’ in cucina”.
Ecco cosa conoscevamo di Aurora Mazzucchelli, prima di incontrarla nel suo ristorante Marconi di Sasso Marconi, dove con il fratello Massimo porta avanti la tradizione di famiglia, e ormai ne ha fatta una tradizione stellata, visto che siamo al decimo anno di riconoscimento Michelin. In cucina lei e in sala lui, e nel racconto di Aurora questo ribalta un po’ lo schema tradizionale
“Bisogna ribadire sempre il fatto che in Italia ci sono tante donne chef, perché solitamente le donne che lavorano in un ristorante pagano lo scotto di essere la moglie dello chef. Il caso della mia famiglia è esemplare: la mamma sfoglina ha seguito mio papà chef, e la figura di riferimento rimaneva lui….quindi nell’immaginario collettivo c’è ancora questa visione dello chef uomo”.
I due fratelli puntano sulla semplicità, su una cucina pura, profonda, giocando sulla loro forza famigliare:
“La nostra forza è l’educazione che ci hanno dato i nostri genitori”
e forse sì, si può definire anche educata questa cucina e a maggior ragione questa sala. Una location elegante, senza sfarzi, piacevole e accogliente, un ritorno alla natura con i tavoli in legno lasciati scoperti da tovaglie e in vista, lontana da quella che è l’idea generale di “Sasso Marconi” località nota anche per gli annunci radiofonici per “l’intenso traffico autostradale”! Anche il dehors è lontano da questo immaginario di traffico: verde, piacevole, silenzioso. Il percorso degustazione prevede la strada a 5 portate scelte dalla carta direttamente dal cliente, o quello più strutturato e convenzionale di 9 portate. Il vino è scelto con cura da Massimo, che si racconta e racconta i piatti con una spettacolare sensibilità, e uno sguardo volto lontano, là dove forse trova l’ispirazione.
“La cosa più importante è essere nudo davanti alle emozioni”
ci rivela, e alterna insegnamenti di cucina a racconti di profondità marina (“La capasanta è solo una consistenza, va lavorata in modo unico…”), oltre a preparare cocktail da abbinare ad alcuni piatti. Il pane è rigorosamente fatto in casa, con lievito madre e con aggiunta di grani antichi. E’ realizzato nel forno adiacente al Ristorante, un progetto, il Mollica, nato nel 2016, per dare vita al concetto di forno aperto tutto il giorno al pubblico, con vendita unita a ristoro, in cui poter acquistare prodotti e fermarsi ad assaporare una cucina semplice con ricette centrate sui prodotti da forno, con pizze, focacce e affini, prodotti da qualche tempo entrati nella guida del Gambero Rosso, premiati da due spicchi.
- il Gambero Rosso con mortadella e brina di piselli,
- la Capasanta esaltata dai profumi e sapori di camomilla e fieno su cui viene cotto il mollusco,
- il Capo Finisterre, un’alga di piovra ottenuta dal brodo gelificato, ridotto a listarelle, disidratato, reidratato e poi servito, accompagnata dai percebes (o limoni di mare) dai quali è nato il piatto, da “una visione” e dalla loro conoscenza …un piatto che rappresenta il “Mare in sospensione” come precisa Massimo (“Nel maccherone invece c’è più la profondità”)
“un piatto di pancia dove c’è un aspetto tecnico di pensiero, che è molto più profondo del piatto…e allora lo racconto dopo l’assaggio, perché il commensale non deve fare troppi ragionamenti prima, il piatto non va capito, va mangiato!”
Proseguiamo il percorso dei primi piatti con i Maccheroni al torchio ripieni di anguilla affumicata, ostriche crude e spinaci. I secondi ci fanno abbandonare il mare e ci presentano i sapori della terra, con le carni impegnative e non consuete:
- La testina di maiale servita con pancotto nel brodo della testina, castagne, composta di rosa canina, limone salato e aceto di rose
- Il diaframma con croccante di riso venere, burro e caviale, cucinato in padella, scottato a pezzo intero, nobilitato come fosse un filetto.
- il piccione servito in più cotture: il petto in padella con salsa di rapa rossa e glassato con liquirizia, le cosce in tartare abbinate alla patata e i fegatini in patè su crostini di pane
“che potrebbero essere insieme alle mani lo strumento per tirare su la crema, per richiamare l’idea del pulire il tegame quando si è a casa e richiamare l’inizio del pranzo con l’uso delle mani e della convivialità!”
La vera conclusione del pranzo è stata poi in cucina, a fare due chiacchiere con Aurora, ma questa è un’altra storia… e ne parliamo presto mostrando la video intervista di questa donna davvero capace, che unisce determinazione e dolcezza, condite dalla simpatia dell’accento tipico di questa terra!
A presto con le storie di cibo di Aurora!
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