Chiacchiere con lo chef Andrea Larossa, ristorante Larossa ad Alba.
Ho conosciuto Andrea Larossa ad un evento all’interno della fiera Internazionale del Tartufo di Alba. Lui era da pochi giorni entrato nell’elenco degli chef stellati, la sua prima stella Michelin, e in quel pomeriggio di novembre era stato convocato sul palco della fiera per un riconoscimento da una delle sue Regioni di origine: la Basilicata, che voleva mettere il suo “sigillo” su questo giovane chef per metà lucano, ormai albese in tutto!
Due chiacchiere, i miei complimenti, le sue immediate confidenze sul forte legame affettivo con la nonna (“la stella la dedico a lei che mi ha insegnato a cucinare e che adesso, anche se non c’è più, sarebbe orgogliosa di me”) e l’appuntamento per un incontro/intervista, che finalmente è arrivato!
Siamo sempre in centro ad Alba, ma cambia la scenografia.
Davanti a me una porta rossa, elegante, impreziosita dalla targa Michelin.
Suono, mi viene ad accogliere una morettina all’apparenza tutta pepe nella realtà quasi timida e simpaticissima. L’ingresso è accogliente, un grande tavolo conviviale in quello che sembra il soggiorno di un’ elegante casa privata. Scendiamo al piano interrato, un ambiente con volte e mattoni a vista, a tratti rustico a tratti elegante, con un arredamento comunque ricercato, pezzi di effetto, che poi scopro essere in realtà il risultato (ben riuscito!) di un fai-da-te dovuto al fatto che “Era l’inizio, non potevamo permetterci un architetto, abbiamo fatto tutto noi, scegliendo pezzi di arredo particolari”.
Il “noi” è da subito una costante della chiacchierata, perché lo chef non è solo in questa avventura, e non lo è mai stato se non proprio nella decisione iniziale di aprire un ristorante tutto suo, perché da subito è entrata in scena anche Patrizia Cappellaro… ma andiamo con ordine!
Mi faccio raccontare da Andrea il suo inizio, inteso proprio come nascita della sua passione e delle sue abilità in cucina. E’ un autodidatta, a cui non mancano né competenze, né tecnica e tantomeno gavetta.
Scopre l’amore per la cucina da piccolo, grazie alla mamma e alla nonna (“Siamo stati sempre legati alla cucina, al mangiare insieme, ai banchetti famigliari”), ma capisce di volerne fare la sua vita a militare, quando cucinando per gli altri si rende conto di essere portato, bravo e appassionato.
Andrea, dove hai iniziato?
“La mia scuola alberghiera è stata il militare. In caserma a Verbania la cucina era a carico nostro, a gruppi gestivamo spesa, cucina e sala. Ho iniziato a respirare questa cosa, mi piaceva e non vedevo l’ora di essere messo di turno in cucina. Io che non sono mai stato un amante dei libri e dello studio, fuggivo in libreria ad acquistare libri di cucina e di tecniche alberghiere, per imparare il più possibile”.
Dopo il militare e alcune esperienze in ristoranti “di tutti i tipi”, alcuni come sostiene lui “è anche meglio non nominarli!”, entra nella cucina di Carlo Cracco:
“Un’esperienza formativa formidabile, per me una scuola ai massimi livelli. Anche molto faticosa, con ritmi serrati ed io, rispetto ai ragazzi ventenni della brigata, ero l’unico trentenne e sentivo di sicuro di più la fatica fisica!”
Nonostante la stanchezza provata, questo passaggio è stata la chiave di volta, vero Andrea?
“Sì, l’esperienza con Carlo Cracco mi ha aperto la mente sul mio vero sogno, quello di aprire un ristorante tutto mio. Ho capito che era questo che volevo davvero, ma mi sono accorto che prima avrei avuto bisogno di un’altra esperienza, o meglio di un’esperienza stellata.
Ho richiesto di lavorare a Villa Crespi. Non ho parlato direttamente con Antonino Cannavacciuolo, ma con Luigi Magni che era il secondo a quel tempo, che mi ha proposto di entrare nella brigata della Locanda del Pilone nelle Langhe: stavano riorganizzando il tutto per affrontare la stagione della fiera del Tartufo. E così ho iniziato la mia esperienza langarola, della quale più di tutto ricordo l’amore per il cibo e il vino della gente “comune”. Quando tra un servizio e l’altro si andava a bere un caffè, al bar la gente non parlava di sport, di auto, di politica come spesso accade: discuteva di cibo, di vino, di ristorazione. E mi sono reso conto che questo è un territorio dedito al mondo del vino e poi a tutto quello che lo circonda: la parte gastronomica, gli chef di alto livello presenti in questo territorio”.
Perciò ha deciso di restare nel territorio delle Langhe per avviare la tua attività?
“A quel punto, visto che il mio sogno era di avere un ristorante, ho iniziato qui la ricerca di un posto ideale, con l’aiuto di mio padre che da sempre, quando ho un sogno, mi appoggia e mi stimola (mia madre è più restia e timorosa di qualche fallimento!).
Ho trovato questo posto e ho dato il via a quello che adesso vedete qui!”
“E qui arriva la parte più bella!”.
Sorride Andrea nel pronunciare queste parole, e scambia uno sguardo complice con Patrizia, che per tutto il tempo non ha smesso di ascoltarlo rapita, come se fosse la prima volta che sente questa storia.
“Conosco Patrizia per caso, posso dire che è stato il classico colpo di fulmine. Lei però da ex ballerina classica, sempre attenta alla linea, era completamente disinteressata a tutto quello che era cibo, vino, ristorazione. Ma per colmare un buco di una persona di sala che si era ritirata all’ultimo la sera dell’apertura, Patrizia si è adoperata per fare al meglio, e da quella sera si è appassionata, si è dedicata al ristorante totalmente ed è diventata sommelier”
Ora il ristorante è avviato molto bene, in cucina Andrea con 3 persone, in sala Patrizia, vera padrona di casa, esperta di vini e di accoglienza.
Lo scorso novembre la notizia della stella Michelin, come vi è arrivata?
“E’ stata una notizia improvvisa. E’ arrivata una telefonata dal Presidente Italia Michelin che ci invitava a Parma. Non ha detto esplicitamente della stella, ma ci invitava a Parma il 16 novembre. Patrizia è subito scoppiata a piangere dalla gioia! Questa stella da una parte è arrivata inaspettata, perché temevo di non riuscirci in questa zona, con un tre stelle vicino ad Alba, con 15 stellati tra Langhe e Roero. Ma in fondo ci credevamo molto, ci ritenevamo idonei soprattutto dal punto di vista dell’impegno”.
E Andrea ci racconta l’emozione, l’adrenalina e anche le lacrime per un riconoscimento che a soli 3 anni dall’apertura li ha resi pieni di orgoglio, e con tutte le ragioni!
Cosa è cambiato con l’arrivo della Stella?
“Per quanto riguarda noi, non dico che non sia cambiato niente, perché siamo in continua evoluzione; ma questa ci sarebbe stata a prescindere dalla stella, perché il mandare avanti un’attività come la nostra prevede un continuo studio, aggiornamento e miglioramento. E’ cambiata la giacca, questo si, e questo è un sogno realizzato!
Per il resto, è cambiato sicuramente l’approccio da parte dei clienti. E lo vediamo dal tipo di ordinazioni: prima si lavorava molto più alla carta, quindi sulla scelta del piatto singolo, ora lavoriamo all’80% sul percorso degustazione, quindi chi viene qui ha piacere di scoprire qual è la mia cucina, e di fare un percorso gastronomico guidato da noi”
Al di là della stella Michelin, com’è la cucina di Andrea Larossa?
“Non sono un chef che segue molto le mode, non amo molto questa tendenza e questo continuo seguire dei filoni. Prima andava la Spagna, poi la Norvegia, poi il Giappone… io non riesco a seguirle! Ho sicuramente lo sguardo attento a quello che succede nel mondo ma mi ritengo un cuoco assolutamente italiano.
Nella carta del ristorante io ho lo spaghetto al pomodoro, non so se possa essere stellato o no, ma è uno dei piatti che io preferisco e credo che dal punto di vista tecnico a volte sia più difficile presentare un piatto del genere in modo eccellente che mettere insieme 10 ingredienti in un piatto da super stellato.
In questi piatti c’è tutto, il famoso “gusto umami” in Italia spesso lo troviamo già nei prodotti, quindi ritengo che alcuni piatti, anche se il ristorante è stellato, vadano inseriti per rispettare la nostra tradizione”.
Chef italiano, metà laziale e metà lucano: in quale regione ti riconosci maggiormente?
“La cucina lucana è molto povera ed è presente in me col ricordo dei piatti che cucinava la nonna paterna, con elementi sempre ricorrenti, come il peperone crusco, i lampagioni, le uova. E tanti tanti fritti! La parte laziale è più presente, anche perché la mamma era laziale ed era lei che cucinava: sono cresciuto ad amatriciana, supplì, arrosti.. Quindi sicuramente in me vive di base un 80% di cucina laziale e un 20% di cucina lucana.
Poi ora c’è anche il Piemonte. Ho studiato bene questa regione, i suoi piatti e i suoi sapori, per poter conoscere la tradizione locale. Adesso il gusto piemontese ha preso ovviamente piede nelle mia cucina, “invadendola” quasi totalmente!. Ma ci tengo a precisare che prendo ispirazione anche da tutte le altre regioni. Ho una zia che vive in Valtellina che mi manda spesso prodotti che studio e inserisco nei piatti; mi piace la Sicilia e non di rado prendo spunto dalle ricette isolane… insomma mi ritengo un cuoco italiano”.
Tre aggettivi con cui definiresti la tua cucina.
“Una cucina italiana, per tutto quello di cui ho parlato prima, sul mio attaccamento alle materie prime del nostro paese.
Una cucina di istinto, perché molti dei miei piatti sono nati così, legati ad un mio momento. E ritengo che siano i miei piatti migliori.
Una cucina di cuore. M etterci il cuore significa per me appagare totalmente le richieste e le esigenze, anche quelle inespresse, di un cliente. Io voglio vedere le persone al tavolo che fanno la scarpetta, a quel punto ritengo di aver soddisfatto il senso vero del “fare da mangiare”!
Se tu fossi un tuo piatto, quale saresti?
“Sarei sicuramente il Made in Italy, ossia il mio spaghetto al pomodoro!”
Prima hai parlato dell’importanza di Patrizia come presenza in sala: che importanza ha secondo te la sala rispetto alla cucina in un ristorante?
“La sala in un ristorante è l’unica cosa che i clienti vedono, e quindi chi è in sala è l’attore vero di questo spettacolo. Io come cuoco lavoro in cucina, ed esco alla fine a salutare, quando i clienti sono già contenti, sono già stati accolti, coccolati, messi a loro agio, quindi per me l’approccio diventa semplice e quasi divertente. Il “lavoro sporco” lo fanno Patrizia e i ragazzi in sala che devono avere a che fare col cliente simpaticissimo così come con quello antipaticissimo, che è ovviamente da conquistare, non può restare antipatico! Occorre fargli mollare le redini per fargli apprezzare questo percorso gastronomico, l’umore incide molto nell’accogliere i piatti, ed è proprio il difficile lavoro della sala quello di mettere il cliente nella condizione idonea a vivere in modo ottimale l’esperienza.
Anche a livello di stella Michelin, la sala ha un peso non indifferente, perché se un piatto stellato non viene raccontato a dovere, perde il suo valore.
Ritengo che il peso maggiore sia della sala, a percentuali: 55% la sala e il resto cucina.”
Approfittando della presenza di Patrizia, e visto il grande peso che riveste per il successo del ristorante, un paio di domande anche a lei:
Patrizia, dalla persona che eri, completamente lontana dal mondo della cucina, con che piatto ti ha conquistata Andrea?
“Con il risotto alla milanese. Buono così non lo avevo mai mangiato. E da lì si è sciolto un po’ il mio “astio” verso questo mondo, che non conoscevo e non apprezzavo nemmeno. E naturalmente, senza manovre forzate, mi sono avvicinata alla cucina, al vino, e a tutto quello che circonda queste cose.”
Cosa significa “coccolare” il cliente, come ha detto Andrea parlando del tuo lavoro?
“Io cerco di far sentire il cliente come piacerebbe a me essere trattata al ristorante: coccolata in un modo delicato e non pomposo; con qualcuno che ti racconta i piatti e i vini in modo corretto e completo senza cadere nel tecnico; avere una tavola perfetta e tutto a disposizione con qualcuno che interviene al tavolo in modo puntuale ma senza interrompere ogni volta. Mi piace che le persone si sentano a casa, ovviamente con un servizio da ristorante stellato, perché quello siamo e ci teniamo a far vivere agli ospiti un’esperienza indimenticabile!”
E dopo questa bella chiacchierata, una cena “da favola”, piatti scelti tra una lista di delizie (del menù e dei piatti parleremo prossimamente).
E’ vero! La presentazione di Patrizia dà immenso valore aile creazioni di Andrea: insomma un gioco di squadra che funziona alla grande!
Larossa per me vince!
E può tranquillamente ambire alla scalata delle stelle….anche se la zona delle Langhe è “ben illuminata”, il “cielo della ristorazione” è grande e c’è sicuramente posto per altre lucine!
Una citazione simpatica va anche ad un elemento fondamentale di “questa squadra”: Nando, che tiene alto l’umore della brigata!
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